Negli ultimi decenni l’Europa ha assunto - attraverso la sua espansione e l’incremento dei flussi migratori - una forte connotazione multilinguistica. Ciò ha condotto inevitabilmente a un notevole aumento di stranieri alloglotti coinvolti in procedimenti penali. Le istituzioni europee hanno preso atto di tali avvenimenti e hanno, pertanto, sviluppato un “super-diritto” ovvero il diritto dell’alloglotta all’assistenza linguistica, già solennemente enunciato nella Convenzione europea dei diritti dell’uomo e man mano ripreso da diverse Direttive europee, prima fra tutte dalla Direttiva 2010/64/UE sul diritto all’interpretazione e alla traduzione nei procedimenti penali. Tale Direttiva, considerata la prima normativa europea sul giusto processo, è stata seguita da altre Direttive europee che hanno rafforzato, anche a favore della vittima di reato con la Direttiva 2012/29/UE, l’effettività delle garanzie in relazione al procedimento penale e anche sottolineato la centralità del compito degli interpreti e dei traduttori nonché l’importanza di un’assistenza linguistica qualificata. L’Italia sembra aver sinora recepito con apposite norme nazionali, prima fra tutte l’art. 143 c.p.p., il paradigma europeo e la ratio delle Direttive europee solo in parte, ma non ha ancora seriamente messo mano, con le risorse e gli investimenti dovuti, all’altro paradigma e cioè a quello dell’assistenza linguistica qualificata, l’unica in grado di affermare compiutamente il diritto dell’alloglotta a conoscere esattamente e nella propria lingua il significato degli atti del procedimento penale riguardanti sia l’imputato che la vittima di reato.